Illustrazioni
di
Leonardo Mattioli
Giulio Giannini & Figlio Editori
in Firenze
Il bosco rosso
Copyright © 1991
By Giulio Giannini & Figlio Editori
Firenze
A Jessica,
che ha nove anni ed è la nipotina di Marino, è
dedicato questo libro: Il bosco rosso.
Le novelle furono scritte a un piccolo tavolo davanti
a una finestra che guardava la grotta tagliata da tre pioppi altissimi, l’acqua
scintillante della gora, le libellule, i batticoda e perfino, nelle mattine di
gran fortuna, l’improvviso volo di un acceso smeraldo: il Martin pescatore.
In quella vecchia casa del Molino del Sasso, Beppe
Anichini e il suo figliolo Marino accolsero in un inverno lontano Zippo e
Mussi, quando l’orco orrendo voleva portarle via.
Ottobre ‘91
Quante immagini un tempo, e quante fole
Leopardi,
Le Ricordanze
Quando mi
giunse in casa, ancora manoscritto, Il bosco rosso, era un giorno
d’inverno: la stagione che certo più di ogni altra si accorda col mondo delle
fiabe, forse per i suoi brevi crepuscoli che precipitan sùbito nella tenebra e
vi chiudono le forme e i colori, lasciandoli splendere segretamente, come nel
buio del caleidoscopio.
L’aspettavo da
tempo, questa boìte à joujoux che le sorelle Maria Luisa e Lina Fargion
custodivano da tanti anni presso di sé, ma in cui avevan tuffato lo sguardo,
appagandosene, occhi esperti come quelli di Luigi Russo e di Pietro Pancrazi.
Averlo,
leggerlo, mi pareva quasi il prolungamento di un’altra lettura: un libro di
diverso argomento ed impegno - il bel romanzo autobiografico Lungo le acque
tranquille di Maria Luisa - ma che poteva far pensare a un versante
fantastico che, dalla realtà delle cose e dei fatti, facesse levitare un
aspetto di stupefatta leggerezza, così come, nel solco concreto di una storia
vera, aveva dato corpo e densità reali a vicende, luoghi e persone, tuttavia
seguendoli sempre con l’animo pronto a sorprendersi di un loro incanto segreto.
Tanto più che, in uno dei suoi momenti di sospensione più rarefatta, vi si
faceva cenno all’invenzione di novelle da parte di una delle due giovani
protagoniste, dichiarandone, di una almeno, anche il titolo: La storia del
piccolo paese dai maligni orologi.
Riceverlo,
leggerlo, entusiasmarsene fu una cosa sola. A mano a mano che procedevo nella
lettura, i brevi periodi, spesso dei veri versi, sempre con un loro
delicatissimo ritmo, figuravano personaggi insoliti e situazioni altrettanto
rare, in una loro purezza di lineare dettato e di poetica verità.
Ma il miracolo del risalto delle immagini si completava, poi, nella musica stessa delle frasi, nei cui duttili trapassi, nelle cui lievi mutazioni di colori e di tono, all’interno di agili iterazioni appena variate, esse acquistavano moto, vita.
Immaginai
subito il completo appagamento di una lettura ad alta voce: per quella virtù
ch’è propria della fiaba, della filastrocca, della novella, di uno scambio
diretto, concreto, tra labbro che parla e orecchio che ascolta; o meglio, tra
animo che racconta le sue interne visioni e mente che le accoglie per ricrearle
e farle vivere in sé. Quel rapporto naturale che da tempo è strettamente
ancorato all’immagine della nonna intenta a narrar fiabe al proprio nipotino.
Non ebbi da
attendere a lungo per provarne la tempra: la piccola Giulia, quattro anni, che
ha inventato, anch’essa, un nome, Ciò Ciò, per un caro genietto alato di casa,
venne subito catturata dai personaggi e dalle loro vicende.
Le furon, così,
compagni giornalieri lo gnomo Puccio con i suoi Rick e Rock, i passeri benevoli
con gli occhi tondi tondi, ma soprattutto la grassa gallina bonaria, l’odiosa
mosca Menè, insieme con Lumacuscia - delle tre comari lumache la più
avventurosa, anche nel nome -, e il nano Pillo, seminatore sulla terra e nel
cielo di luminose bolle di sapone, la triste piccola pecora impellicciata
privata del suo bianco vello, la maliziosa ape Punchia, che ardisce insidiare
la scienza nei suoi illustri dottori, là dove il sussiego non vale a
proteggerli.
Era un crescere
di immaginazione e di affetti; ma, quel che avvertivo con più grata sorpresa,
anche un aprirsi al mondo della bellezza e della poesia.
Così, quando seppi
che, dopo la lunga attesa nella serra di casa, queste limpide storie stavano
per uscire al soffio e alla luce dell’aria aperta, per avviarsi, cioè, al loro
naturale destino - un manoscritto che diventa libro -: ‘finalmente’, mi son
subito detto con slancio, ‘tanti altri lettori, e non solo bambini, avranno ora
modo di attingere a questa viva sorgente. Ne saranno anch’essi ristorati, ne
sono certo’.